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RICORDANDO PLINIO MAGGI,

il cantautore-farmacista,

cantore del bridge

 Se n’è andato così, il 20 ottobre scorso, alla vigilia del suo 79mo compleanno, in punta di piedi, senza clamore. A questo punto avrei voluto dire “così come aveva vissuto”. Ma non sarebbe del tutto esatto, perché in quella sua anima da gentiluomo vecchio stampo, coabitava anche quel guizzo di “genio e sregolatezza”, forgiato sul modello del suo idolo Elvis Presley.

Sto parlando di Plinio Maggi, cantautore melodico con una leggera venatura beat che, negli anni ’60, ha avuto il suo momento di celebrità. 
Catanese di nascita, classe 1940, Innamorato della musica da sempre, si ritrovò sul proscenio quasi senza volerlo, quando alcuni amici lo spinsero a iscriversi al festival di Castrocaro, abbandonando momentaneamente gli studi alla facoltà di farmacia di Catania. E quel Castrocaro, Plinio se lo aggiudicò meritatamente, interpretando una sua canzone “Se le mie parole non bastano”, e con lui s’impose anche Luciana Turina che, nell’occasione, si cimentò in una convincente cover della “Zanicchiana” “Come ti vorrei”. 
Un siciliano “anomalo”, lui, o, in ogni caso, di probabile discendenza normanna. Alto, longilineo, ciuffo biondo, occhi azzurri, un naso prepotente. “Un Henry Mancini o Bacharach made in Sicily”: lo presentò così il settimanale “Big” che in quel periodo andava a ruba fra i giovani, sottolineando, oltre alla potenza delle sue composizioni, anche quel modo straordinariamente originale di interpretarle, agitando nervosamente le mani davanti al viso, con una particolare intensità. Plinio era un convinto estimatore di Elvis Presley, con cui aveva un’affinità nel timbro vocale (forse ancor più marcata rispetto a Bobby Solo e Michele) ed era dotato di un'ottima estensione di voce.
Caratteristico, anche quel suo modo di pronunciare alcune parole con un accento da italo-americano. Si guadagnò quindi il contratto con la casa discografica Meazzi e un biglietto per Sanremo ’66 per presentare “Io ti amo”, un altro suo brano scritto in collaborazione con Gianni Fallabrino.
Era il Festival in cui vinse Modugno assieme alla Cinquetti con “Dio, come ti amo”, dove s’impose Caterina Caselli in tandem con Gene Pitney con “Nessuno mi può giudicare” (che divenne un inno della generazione beat) e fu lanciata “Una casa in cima al mondo” di Pino Donaggio, destinata a diventare un successo internazionale anche grazie alla “cover” lanciata da Mina. Plinio purtroppo non riuscì a superare la prima serata, ma la sua eliminazione non fu poi così scottante, visto che era in buona compagnia. Oltre a quella di Gino Paoli (bocciato con la sua “La carta vincente”), ci fu l’inaspettata esclusione di “Il ragazzo della via Gluck” di Celentano che sbancò comunque nelle hit parade. Eliminati nell’occasione anche Lucio Dalla (“Paff bum” in coppia con gli Yardbirds che Mike Bongiorno definì “gallinacci”), Bobby Solo (“Questa volta"), l’Equipe 84 (“Un giorno tu mi cercherai”) e John Foster (che-non-sbagliava-un- colpo con i suoi dischi) con “Se questo ballo non finisse mai”.
A Sanremo Plinio (abbinato con Anna Marchetti, ex valletta della “Fiera dei sogni" e compagna di scuderia Meazzi), fu forse vittima della sua eccessiva emotività che condizionò in parte la sua interpretazione.
“Io non volevo cantare, volevo soltanto scrivere canzoni. Ma i discografici mi fecero capire chiaramente che per ottenere spazio e visibilità, dovevo farlo. Nella mia indole non c’è questa voglia di mettermi in mostra, avrei voluto solo comporre musica e testi, affidandoli ad altri per l’interpretazione”. Me lo confidò proprio lui, quando lo conobbi nel novembre del 2005.

Malgrado l’eliminazione che probabilmente smorzò in parte i suoi entusiasmi, Plinio continuò a scrivere brani e cantare e fu anche invitato all’Ed Sullivan Show in America, dove ottenne un buon successo. Quest’esibizione oltreoceano fu favorita anche dalle prestigiose conoscenze di suo padre Aldo Maria Maggi, uomo di spicco, amico fra l’altro di Joan Crawford,  star di Hollywood e consigliere di amministrazione della Pepsi Cola.

 

In quel periodo io ero un’adolescente e fui catturata dai brani e dalla personalità di Plinio Maggi nel quale, in qualche modo, mi riconoscevo. Ragazzo di buona famiglia, timido, con la testa sempre un po’ nelle nuvole, emotivo (con una punta di stravaganza che è certamente anche mia) e totalmente preso dalla musica. Lo seguivo con quel furore e quella passione che forse soltanto a 15-16 anni si possono manifestare senza timori e tifai per lui anche quando partecipò al Cantagiro 1966 con la sua più che gradevole “I miei pensieri” nel girone B dei giovani. Non raggiunse un eclatante piazzamento, ma in compenso vinse il “Premio Simpatia”. Nel frattempo aveva cambiato casa discografica, approdando alla CBS. L’anno seguente partecipò a “Settevoci” con un altro suo brano intitolato “La mano nella mano”.
Fu la sua ultima incisione. Da quel momento in poi Plinio tornò a studiare farmacia all’università e si dedicò a scrivere canzoni per gli altri, come aveva sempre sognato: in particolare per gli interpreti della scuderia RIFI. Scrisse per Rossano (“Così dolce, così cara"), I Giganti (“Un uomo va”), Giuliano e i notturni (“Serenata d’amore”) e molti altri. 
Nel 1970 Michele presentò a Sanremo un suo brano: “L’addio”, melodia ariosa e trascinante, un bel testo, senza arrivare in finale; nel 1971, al discusso festival di Napoli bloccato per motivi di ordine pubblico, Angela Bini lanciò la sua “Nun è straniero”. Forse, però, il brano di Plinio che conobbe il maggior successo fu “L’indifferenza” interpretata da Iva Zanicchi, scelta per la colonna sonora del film “Perché si uccide un magistrato” di Damiano Damiani, uscito nel 1974. Plinio aveva comunque  deciso di staccarsi dal mondo della musica e, ormai laureato, aprire nella sua città la Farmacia Monserrato, che diventò un punto di riferimento “storico” dell’universo etneo.
Oltre a dedicarsi all’attività di farmacista, Plinio coltivò con sempre maggior intensità, la sua seconda grande passione, dopo la musica: il bridge. Partecipò, in coppia con sua moglie Piera, a moltissimi tornei, vinse parecchie coppe, e scrisse anche quell' “Inno al bridge” che viene ormai eseguito a ogni cerimonia di premiazione dei tornei di questo gioco d’elite.
I suoi amici raccontano che, oltre a quello per il bridge, Plinio era pieno di tanti altri interessi fra cui le auto inglesi d’epoca e i mobili e le suppellettili d’antiquariato.
A fine luglio del 2013, la sua opera lirica “Mena” (liberamente ispirata a una vicenda del romanzo “I Malavoglia”) fu rappresentata in prima mondiale al Festival dell’Opera Mediterranea .
E ora questo addio. Ora Plinio vivrà solo nei ricordi di chi l’ha amato, come sua moglie Piera, le figlie Alessia e Georgia che ormai da tempo gestiscono la farmacia Maggi, i tanti amici siciliani e del mondo del bridge e gli appassionati di musica che hanno avuto tempo e modo di conoscerlo e apprezzarlo. 
Avrei voluto scrivere con lui un libro dedicato al mondo della musica negli anni ’60, strutturato come una lunga intervista: l’idea gli era piaciuta moltissimo. Poi, per impegni reciproci, complice anche la distanza fra le nostre città, non c’è stato il modo di realizzarla.

Gli dovevo quindi almeno quest’omaggio, anche in ricordo di quei sogni adolescenziali che forse non si spengono mai del tutto. 

PLINIO E… IL MAL D’AFRICA,
UN PO’ DI CUORE LASCIATO A TRIPOLI

Ma Tripoli cos'è / è il primo nome che / mi viene in mente se/ lo immagino lontano/ dove non so/ in cerca di battaglie perché/ perché ogni uomo senza battaglie/ Non può sentirsi un uomo un uomo un uomo un uomo un uomo”.
Pensando all’infanzia di Plinio Maggi, mi è tornata in mente la celebre canzone che Patty Pravo lanciò a Canzonissima nell’inverno 1968 e che si piazzò al quinto posto nella serata finale del 6 gennaio 1969. Tripoli fu infatti una vera e propria “seconda patria” per il cantautore catanese. Me ne parlò nell’intervista del 15 novembre 2005 e ne ho ritrovato traccia nella tesi di laurea di Antonino Cimino “Italiani espulsi dalla Libia” discussa alla facoltà di Lettere e Filosofia di Palermo nel corso di laurea in scienze storiche e pubblicata sul sito academia.edu.
Quel pomeriggio Plinio decantò le doti di suo nonno che portava il suo stesso nome  e aveva fondato a Tripoli un’enorme litotipografia in cui stampava libri di carattere storico, fra i quali “Gente di Libia”, “Il dialetto libico”, “Storia delle istituzioni scolastiche in Libia” e molti altri. 
Suo nonno Plinio si era trasferito in Libia per creare una grande azienda, lì c’erano le risorse economiche che in Italia mancavano. Il padre di Plinio (Aldo Maria Maggi) nacque quindi a Tripoli e quando, dopo il diploma, decise di iscriversi all’Università, scelse Catania, dove nacque Plinio il 21 ottobre 1940. 
Così, nella tesi di Antonino Cimino, Plinio racconta come iniziò l’avventura in Africa per lui e la sua famiglia.
Nel   1948 mio nonno Plinio telefonò qui a mio padre dove si era laureato ed era già sposato. Io avevo 8 anni, dicendogli che aveva bisogno del suo aiuto, perché aveva creato a Tripoli un’industria enorme, una ... Come potrei definirla … Una litotipografia, stampe, e aveva circa 100 operai. Ed era la più grande litotipografia d’Europa praticamente. Quindi una cosa importantissima. Perché lui era un appassionato della stampa e quindi faceva le riviste con le fotografie a colori nel ’48 quando ancora non se ne parlava … Lavorava per gli inglesi. Faceva anche le scatolette per le sigarette e c’era tutto un reparto adatto alla manifattura di queste scatolette per le sigarette che erano quelle del monopolio libico, con tabacco inglese. Quindi nel 1948 io andai a Tripoli con mio papà e mia povera mamma. Ho cominciato le scuole, facevo la terza elementare”.
Plinio proseguì gli studi, terminò le elementari, frequentò la scuola media e il liceo scientifico, diplomandosi a soli 16 anni. Poi tornò a Catania, conservando sempre un ricordo splendido del soggiorno libico.
"Mio padre li stava molto bene. Stavamo bene tutti, si guadagnava molto bene, la moneta libica era una moneta abbastanza solida perché sostenuta dalle casseforti inglesi, quindi era una moneta valida. Tanto è vero - continua Plinio -  che al cambio una sterlina libica era 2800 lire italiane dell’epoca. Era una città  bellissima, io non so come sia adesso".
Un vero paradiso per un adolescente, citando ancora la tesi di Cimino.
“Era una città splendida. C’erano quattro nightclub, un casinò, c’erano cose a Tripoli che qui neanche esistevano. Guardi, le dico una cosa, quando io nel 1956 tornai in Italia avevo già i jeans perché li si usavano; qui non sapevano neanche cosa fossero. A Tripoli avevamo già i frigoriferi di svariate marche americane, qui, quando io tornavo, la mia povera mamma mi mandava a prendere il ghiaccio a Piazza Olanda 'picchì ca nun c’erano i frigoriferi'. Li c’era già la televisione mentre qui di televisione non se ne sentiva nemmeno parlare. Era una città avanti di vent’anni.”
Il cantautore siciliano, nell’intervista riportata nella tesi, traccia di Tripoli un ritratto all’insegna dell’entusiasmo.
Andavamo tutti d’accordo, non c’erano mai stati problemi, non esistevano scippi, non esistevano rapine, non esistevano truffe di nessun genere, burocrazia poco e niente, i documenti si facevano nell’arco di un giorno. Era tutto veramente molto semplice, si stava bene! L’unica cosa che dava un po’ fastidio è che durante l’estate c’era un po’ caldo ma quello ... Mentre qui la temperatura media è 30°, lì la temperatura media in estate era dai 37° ai 40°. Ma, tolto questo particolare, si stava veramente bene. Cosa debbo dire, il clima era meraviglioso; d’inverno non faceva mai freddo, una sola volta cadde la neve e fu un avvenimento nazionale”.
In seguito il papà di Plinio, il dottor Aldo Maria Maggi aprì a Catania uno stabilimento di distribuzione della Pepsi Cola e divenne un personaggio di spicco della città etnea. Fra l’altro si trovò a ricoprire una posizione di prestigio e strinse legami con vip del calibro di Joan Crawford, famosa attrice ed ex moglie di Alfred Steel, presidente e amministratore delegato della Pepsi Cola negli anni 50 che poi, alla morte del marito, divenne “il volto pubblico” della famosa industria.
È probabile – ad ascoltare le voci ricorrenti - che quest’amicizia favorì anche la partecipazione di Plinio all’Ed Sullivan Show dove ottenne un buon successo. Poi, con il colpo di stato di Gheddafi, ci fu l’esodo di massa di migliaia di Italiani e anche per la famiglia Maggi fu impossibile il ritorno in Africa.
E Plinio, pur affermandosi nel mondo musicale e aggiungendo tante esperienze sentimentali e professionali alla sua vita, non guarì mai del tutto dal Mal d’Africa, mantenendo nel cuore quel legame con Tripoli che rappresentò tanto nella sua crescita.

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L'ESORDIO

Una foto dell'esibizione del trio musicale made in Catania al Teatro delle Vittorie nel programma "Il Buttafuori" (1963).  Da sinistra (per chi guarda), il pianista Corrado Pittari, il chitarrista Carlo Garrubba e il cantautore Plinio Maggi.

Parla Carlo Garrubba, suo amico e partner musicale nel trio del debutto in Rai

"PLINIO, UN GRANDE TALENTO

MAL GESTITO DAI DISCOGRAFICI"

"Quando ci siamo conosciuti avevamo sedici anni e lo stesso idolo da ammirare: Elvis Presley. Passavamo interi pomeriggi ad interpretarlo, arrangiando, a modo nostro, le sue canzoni, finché un giorno decidemmo di partecipare ad una competizione promossa dalla Rai diretta da Luciano Rispoli. Ci siamo presentati al provino in trio: lui era il solista e suonava la chitarra, io ero l’altro chitarrista e, con il pianista Corrado Pittari, purtroppo scomparso giovanissimo, facevo i coretti. Abbiamo vinto le selezioni grazie, principalmente, al talento di Plinio. Cosi siamo stati invitati per ben due volte alla trasmissione Rai Gran Gala di Corrado è Delia Scala e, una volta, al teatro delle Vittorie. Poi ci fu anche un invito in TV a “Primo Applauso”, ma non se ne fece niente”


A “raccontare” Plinio Maggi è Carlo Garrubba che, dopo l’esordio al Buttafuori di Gran Gala, si è poi affermato nel mondo musicale alla RCA, divenuta poi BMG-Ricordi e Sony, nel tempo, curando promozione e pubblicizzazione dei vari artisti. Fra l’altro Carlo è anche il papà di Max Garrubba, un valente protagonista del blues italiano. 
Di Plinio, Carlo ha ricordi nitidi e precisi e ne descrive, nei dettagli, caratteristiche e qualità.


D “Quando un giorno, molti anni fa, intervistai Luciana Turina che vinse con lui Castrocaro, mi parlò di lui come di un “pazzo scatenato”. Che ne pensi di questa definizione?” gli chiedo.
R “Si, Plinio era un...pazzo scatenato, così era considerato nel quartiere dove vivevamo; più che "pazzo", direi stravagante, sia nel comportamento, sia nell'abbigliamento: ma avevamo 17/18 anni e tutto ci era permesso. Nel quartiere, ricordo, era molto disponibile, andava sempre in giro sempre con una chitarra e non disdegnava esibirsi in pubblico, quando glielo chiedevano. Era un ragazzo buono e generoso ed era parecchio corteggiato e non disdegnava questi corteggiamenti: in realtà, però, era innamorato della sua dirimpettaia Piera, per la quale stravedeva e che poi sposò. 
Piera è una gran donna e sapeva come perdonarlo per le sue “stravaganze”; d'altronde la farmacia poi andò avanti proprio per l'abilità di sua moglie Piera perché Lui, non so neanche se sapeva dove era... ubicata! Più in là poi, se così si può dire, mise la testa a posto.
Plinio, ai tempi in cui ci frequentavamo, abitava con la nonna e la zia Pina, in questo grande appartamento dove, appunto, facevamo le nostre performance provando e riprovando le cover di Elvis e dei Platters".

D “Gli amici del bridge – gli dico – ne parlano come di un personaggio sempre “fuori dagli schemi”, spesso apparentemente estraneo, con la testa per aria, poi di colpo di nuovo presente per partecipare con competenza a conversazioni sugli argomenti più disparati. Era così anche allora?
R “Effettivamente Plinio era proprio così, spesso ‘in balia dei suoi pensieri’, d'altronde quelle sue caratteristiche di essere impacciato, come confuso, con la testa fra le nuvole, erano quelle che si portava dalla sua giovane età, Comunque con quel suo atteggiamento si faceva sempre perdonare. Quando, una ventina d'anni fa, andai a trovarlo nella sua bella villa a mare, per portargli la registrazione, che ero riuscito ad ottenere, del suo e del nostro debutto, era molto contento, anche perché oltre alla performance, ci scambiavamo battute  con Corrado e Delia Scalia, criticandoci e esaltandoci contemporaneamente, scherzandoci su, e fu proprio in occasione di quella visita che gli domandai come mai non avesse continuato la sua attività artistica, Lui mi spiegò che per far questo avrebbe dovuto trasferirsi a Milano, ma ormai, grazie alle agevolazioni concesse ai profughi della Libia (non dimentichiamo che era figlio di un  profugo libico), aveva aperto la farmacia e che quindi era legato a doppio filo a  Catania”.
Non lo rividi più da quella volta e, non ci crederai, una settimana prima della triste notizia della sua scomparsa, mi ero ripromesso di andare da lui anche per discutere sulla sua opera lirica Mena. Purtroppo il destino non lo ha voluto".

 

Carlo Garrubba con Rino Gaetano, qualche mese prima della scomparsa del grande cantautore

MAX, IL BLUESMAN FIGLIO D'ARTE

Ecco Max Garrubba, figlio di Carlo Garrubba, esponente di spicco del blues italiano. In questo video  interpreta “(I’m, your) Hoochie Coochie man” (W. Dixon)
da Blue in Blues - Live at Sheraton

Max Garrubba- Blue in Blues

Max Garrubba- Blue in Blues

Riproduci Video

 Come recita una  presentazione su youtube: "La musica di Max Garrubba, ti prende, ti coinvolge. Entra nell'anima e ti fa bollire il sangue. Garrubba, chitarrista, bassista e cantante, da più di 35 anni cavalca il palcoscenico con lo stesso genere conquistando il pubblico. Nel suo spettacolo live, interagisce con i piccoli e grandi spettatori, integrandoli nel suo concerto"

Carlo Garrubba con l'attore e regista Enrico Pappalardo in una foto del 1972.

Carlo Garrubba , dopo un inizio come chitarrista e cantante anche nei night club, ha lavorato per 40 anni nel settore musicale, curando promozione e vendite per artisti della RCA, BMG-Ricordi e Sony. Fra gli artisti con cui ha interagito ci sono nomi come Dalla, Venditti Pravo, Morandi, Endrigo e il primo Baglioni. È anche un grande appassionato di teatro, al quale si è dedicato a livello amatoriale.

Ha trasferito il suo amore per la musica al figlio Max, talentuoso interprete e chitarrista blues.

“Appena appresa la triste notizia, a ottobre, sono rimasto sconvolto e ho voluto partecipare al suo funerale. C’era tantissima gente, molti erano rimasti fuori per quanto era stipata la chiesa. Quasi tutta Catania ha voluto dargli l'ultimo saluto. Appena ho visto Piera sono corso ad abbracciarla e siamo rimasti lì, alcuni minuti, in silenzio. Non c’era bisogno di parole. Poi ho ripreso la mia macchina e sono andato via, continuando a rivivere nel pensiero tutti i momenti vissuti con lui. 
Ogni estate mi resterà sempre il suo ricordo ogni volta che, uscendo dalla darsena, poco distante dalla sua abitazione, costeggerò con la barca la sua bella villa.

Quando Carlo Garrubba nel 1964 fu prescelto dalla RCA come rappresentante in Sicilia per curare promozione e vendite dei suoi cantanti, fra i due amici fraterni fu d’obbligo un break. Ognuno per la sua strada. E Carlo, preso dai nuovi importanti impegni, non fu più in grado di seguire le vicende musicali di Plinio, esclusa la finale vincente di Castrocaro nell’ottobre 1965. Ecco perché gli ho proposto l’ascolto e la visione in video dei brani incisi negli anni successivi. La sua reazione è stata abbastanza critica, quasi rabbiosa.
R “Ora capisco perché Plinio non è diventato un artista di una certa levatura, oserei dire internazionale: perché è stato usato e prodotto male dai suoi discografici. Io lo lasciai interprete di bellissime cover americane di quell'epoca, non mi sarei mai aspettato – dice Carlo - che lui potesse interpretare in seguito brani come, per esempio, “Giri, giri, fai e dici”, lo so, è una mia opinione, ma io la penso così. Durante i suoi inizi io lavoravo già in RCA e di Plinio non ne sentivo parlare e pertanto non ascoltavo i suoi dischi che, probabilmente, erano mal distribuiti: fossimo stati in contatto qualche consiglio avrei potuto darglielo, purtroppo, c’eravamo persi di vista”.
Cerco di smorzare la sua rabbia, Io ero una ragazzina, a quei tempi e, seguendo Plinio con quel classico furore che contraddistingue gli adolescenti, apprezzavo qualsiasi sua performance. Con gli anni, approfondendo gli schemi tipici del mondo discografico, anche grazie agli studi universitari che mi portarono a laurearmi con una tesi sul divismo musicale in tecniche delle comunicazioni di massa, capii che gli interpreti giovani, negli anni 60, dovevano inevitabilmente adeguarsi ai comandi imposti dalle industrie discografiche, Carlo Garrubba ha avuto la fortuna di agire nell’ambito RCA dove non mancavano grandi autori e ingegnosi arrangiatori, oltre a un’impeccabile distribuzione dei dischi, supportata da una campagna stampa più che efficace. 
Per lui non è forse facile capire che la Meazzi o la CBS che era ai suoi primi passi sul fronte italiano, non fruivano degli stessi potenti mezzi organizzativi.
Ma poi, in un lampo, ne colgo la motivazione. Carlo è deluso per l’affermazione mancata del suo amico fraterno con cui ha condiviso tanti giorni felici e pieni di sogni. Sente dentro di sé il dispiacere di non aver potuto affiancarlo, consigliarlo, dargli un supporto. Lo assale il sottile rimpianto di averlo perso solo perché la vita ha diviso i loro destini e non sopporta l’idea che quel talento immenso di Plinio che illuminava le loro prime performances musicali, sia stato mortificato dai capricci dei discografici.

Quando gli faccio ascoltare l’Inno al bridge composto da Plinio nei primi anni 2000 ed eseguito prima di ogni premiazione dei tornei a Salsomaggiore, sfiora la commozione.
Forse continuerà a pensare a lui e a riviverlo nell’idea ogni volta che costeggerà con la sua barca la bella villa che ha ospitato la loro meravigliosa, irripetibile e trasognata gioventù.



 

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